Il Tribunale di Rimini ha dichiarato il fallimento della società che gestiva Cocoricò, la discoteca per eccellenza della riviera romagnola che nel 2015, era entrata nel mirino della polizia a seguito della morte di un ragazzo di 16 anni per overdose, per la quale i guai sono continuati  per mancato versamento dei tributi sia al comune di Riccione sia all’Erario e per  evasione d’imposte. Fino ad  arrivare alla disposizione, nel mese di gennaio, da parte  della guardia di finanza del  sequestro preventivo della struttura per oltre 800 mila euro. Il Tribunale Fallimentare di Rimini ha messo il punto sulla questione avviata dall’Agenzia delle Entrate, rigettando ogni tentativo della società proprietaria di rimettere in piedi l’attività della discoteca e decretandone il fallimento. Partendo da questa vicenda il Presidente di Assointrattenimento Zanchi sottolinea come in Italia, le nostre aziende abbiano perso la leadership dell'intrattenimento: centinaia di aziende ad esso connesse sono fallite. Il nostro ordinamento giuridico ha migliaia di norme. Se poi l’attività di pubblico spettacolo ha carattere preponderante e viene svolta a scopo di lucro, l’autorizzazione amministrativa (licenza) comporta la verifica dell’agibilità dei locali.

Tale verifica comportando l’applicazione delle norme di sicurezza previste dal Decreto del Ministero dell’Interno del 19 agosto 1996 fa sì che i costi per la costruzione di un locale dedicato ad attività di Pubblico Spettacolo siano mediamente tre o quattro volte maggiori rispetto a quelli che si sosterrebbero per la costruzione di un normale pubblico esercizio. Sono norme necessarie, ma i costi ricadono solo sugli imprenditori di questo settore, non su chi gestisce pubblici esercizi. Il risultato è che in assenza di una rete di aziende sane e profittevoli, il “mondo della notte” non potrà che rimanere nelle mani di gruppi di “PR” (magari che operano in “nero”) sempre più intenzionati a cannibalizzare gli imprenditori del settore e “vendere” una “ritualità” del divertimento a rischio.  Solo la discoteca azienda (gestita nel pieno rispetto delle leggi) ben potrà essere, e per molti versi lo è già, un avamposto di legalità, utile anche alle autorità per presidiare e monitorare, da vicino e in tempo reale, l’evoluzione della criminalità che, con l’alibi della musica e del divertimento, ha inteso fare business sulla pelle dei nostri giovani. Altro aspetto fondamentale per il contrasto all’abusivismo è la questione degli orari di apertura. Dopo 17 anni di deregulation è giunta l’ora di mettere ordine nel sistema delle norme che disciplinano lo spettacolo notturno, impedendo ai furbetti di arricchirsi sulla pelle dei nostri giovani. Controlli inflessibili, una tassazione complessiva da medioevo fiscale, sistematiche campagne di demonizzazione che fornivano l'alibi per regole sempre più persecutorie, rappresentavano ostacoli per la creatività, per il mood che un locale deve avere per trasmettere energie positive ai clienti. Se a tutto ciò aggiungete l'inefficienza nei controlli di chi, resosi conto delle difficoltà del locali a norma, sceglieva spudoratamente l'illegalità (rave) appare ovvio che le spettacolari discoteche non potessero che abbruttirsi, finire in mani sbagliate e alla fine fallire. Le regole del gioco vanno cambiate, altrimenti nessun imprenditore sano investirà il proprio tempo e i propri soldi in questo settore.

 

(Per maggiori informazioni: http://www.asso-intrattenimento.it/index2.asp)